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1.9 Quale rilievo ha tutto ciò per la psicoterapia?

E’ un po’ che ci siamo posti il problema di come mai, in questo panorama di accresciuta gravità e diffusione sociale delle psicopatologie, le persone non attecchiscono alla psicoterapia.

Anche tenuto conto dei momenti recessivi, le persone non attecchiscono più alla psicoterapia, specie a quella del profondo e questo per motivi diversi: per i meccanismi di difesa; perché il profondo fa paura; perché in questo mondo che corre le persone hanno fretta e vogliono “tutto e subito”, preferiscono i farmaci che danno risultati più immediati, ammesso che poi li prendano. Inoltre è più facile trovare ciò che la società offre a buon mercato e poi c’è “il fai da te”, negando la “malattia”.

Bisogna premettere che la psicoterapia non si può intraprendere laddove la sofferenza è molto forte e acuta; neppure può continuare semplicemente in questi casi. Necessita allora l’atto terapeutico per arrivare al farmaco, nei casi più gravi e pericolosi. E’ saggio indicare al paziente lo psichiatra che potrà usare il farmaco per alleviare la sofferenza e ripristinare equilibri neurofisiologici di pertinenza medica che vanno sempre verificati, bilanciati e ristabiliti. Questo è un compito di pertinenza medica, dello psichiatra e non dello psicologo o del counselor.

Succede anche il contrario: soggetti con psicopatologie in area borderline o psicotica dopo essere stati curati ed essersi stabilizzati, vengono inviati dallo psichiatra allo psicoterapeuta per mantenere e consolidare i risultati.

La collaborazione assidua tra la figura dello psichiatra e dello psicoterapeuta è indispensabile. Per questo nell’istituto IPAEA c’è sempre stata la collaborazione strettissima con psichiatri di nostra fiducia, indispensabile nel campo della salute mentale e in particolar modo nei settings, soprattutto della diagnostica fatta nel team.

Ma noi che operiamo nella sanità ci dobbiamo preoccupare, come il medico, se le persone che hanno una malattia non si curano. Non è diverso se, per assurdo, le persone che hanno un tumore non si curassero o abbandonassero i cicli di chemioterapia che il protocollo medico prescrive loro.

Purtroppo questa situazione è diffusa nel campo delle psicopatologie. Il paziente che non si cura va aiutato a “prendersi cura di sé”. Il che non significa che dovrà curarsi da solo, ma che dovrà chiedere aiuto a chi potrà curarlo.

Non è raro che i pazienti con psicopatologie anche gravi, si curino da sé. Non solo non approdano alla psicoterapia, ma non vanno nemmeno dal medico, dallo psichiatra. Eludono, minimizzano, mentono ai familiari e ai controlli medici. Non solo questo.

La sanità oggi deve affrontare problemi più “moderni”, vedi le “ludopatie” (gioco d’azzardo patologico), i “bipolaristi” i “mille disturbi di personalità” e la sempre crescente sindrome da crisi “sindrome da spread”. Ne consegue il “fai da te”: psicoterapia veloce, on-line, vendita di qualunque “rimedio”.

Tale fenomeno dell’uso arbitrario di cure conduce a quei pazienti che non si curano nel modo prescritto dallo psichiatra: aumentano o diminuiscono le dosi, dimenticano e omettono, interrompono prima. Non seguono la cura, ma il “fai da te” o dell’amico con il “rimedio miracoloso”, vedi anche il ricorso ai maghi.

Senza contare l’uso abusivo di psicofarmaci o altre sostanze senza ricetta, semplicemente perché c’è qualche scatola di pastiglie prescritta a qualcun altro che non la utilizza, ma la consiglia.

Se tutto questo accade nella cura farmacologica del disturbo mentale che dà risultati certi e più immediati, figurarsi cosa può accadere con la psicoterapia che, specie a quella del profondo, richiede tempi più lunghi e un maggiore impegno, responsabilità a portarla avanti da parte del soggetto, anche di chi gli sta accanto.

E’ un problema che noi ci siamo posti. Come mai oggi le persone non attecchiscono più alla psicoterapia sebbene ce ne sia un grande bisogno?

Alla luce delle nostre osservazioni e degli studi trentennali, riteniamo di poter dire che il ricorso ridotto alla psicoterapia non è dovuto ai tempi e ai costi che essa richiede, neppure al fatto che non ci sia efficacia garantita come una cura farmacologica. Qualunque psicoterapia convalidata è efficace oggi giorno. Il Sistema della “Salute Mentale” va rivisto.

Piuttosto ci siamo convinti che oggi le persone sono sempre più incapaci di sviluppare forti motivazioni, ma queste ci vogliono per sostenere l’impegno che la psicoterapia richiede al pari di qualsiasi altra cura e non solo: una solida motivazione è necessaria per portare avanti qualunque progetto si voglia avere nella vita (vedi ad esempio le coppie e i matrimoni che oggi finiscono con molta più frequenza del passato).

Una psicoterapia democratica e umanistica è necessaria, molti parlano di Pluridisciplinarietà. La salute è un valore prima di tutto e diamo a tutti la possibilità di accedere a cure efficaci per ogni tipo di Paziente-Persona.

Lo stesso difetto di motivazione è confermato anche dal fatto che durante il percorso professionale può succedere che l’analisi si blocchi e le persone che l’hanno già iniziata, interrompono la psicoterapia.

Questo accade vuoi per il transfer e il controtransfert; vuoi perchè non si vuole “soffrire” ma “salvare”, perchè “non si ha tempo” e “costa troppo”; vuoi perché il profondo fa paura o magari può essere intervenuto un errore nell’attaccare le difese psichiche che vanno demolite con prudenza e molto gradualmente.

Così l’analisi si blocca e non tutti la finiscono, anche per via del “terrore dello spread” oggigiorno. Qualunque sia stata la causa dell’interruzione, la psicoterapia è basata su un setting che ha un preciso protocollo per cui come tutte le cure di qualunque genere esse siano (es. le chemioterapie), va completata ed è deleterio interromperla.

A parte gli eventuali errori tecnici, il transfert e il contro transfer, resta il problema fondamentale che l’analisi al pari della cura farmacologica medica, va portata a termine perché altrimenti c’è il rischio di recidiva, con tutto ciò che ne può derivare. Non dimentichiamoci del dolore umano.

 

1.10 Impianto metodologico della scuola di specializzazione IPAEMarche

Dal punto di vista metodologico generale ci si basa sull’assunto per cui il processo terapeutico nella sua globalità ruota attorno alla relazione paziente/terapeuta. Non solo gli aspetti cognitivi (insight) sono importanti, ma è la relazione terapeutica a mettere in campo la possibilità di elaborare compiutamente e superare sostanzialmente la dipendenza, la simbiosi e la fase edipica irrisolte, i traumi per poi accedere alle capacità e alle potenzialità insite in ognuno, anche bloccate e mancate (vedi il daimon di James Hillman)

La relazione terapeutica è volta a sostenere, a volte a costruire e rafforzare l’Io Psichico e il Sè del paziente in direzione dell’autonomia e dell’originale identità, lacunosa e falsata per via della patologia e delle carenze intervenute in fasi evolutive dello sviluppo psichico assai precoci, compresa la vita prenatale da cui promanano le “pretese egoiche” più accanite e il nichilismo personale più tenace che nel Teatro Danza Analitico si usa definire prendendo a prestito la frase che Omero, nell’Odissea, fa dire da Ulisse a Polifemo: - Io sono nessuno!

Così la relazione terapeutica è orientata in direzione di mediare al paziente vissuti integrativi di rapporto, di far rivivere situazioni passate di abbandono, simbiosi perversa e dipendenza distruttiva in situazioni transferali nuove; accogliere la psicopatologia in un contesto comprensivo (cum-prendere), donativo e non manipolativo bensì comunicativo e creativo. Soprattutto un contesto che ha e dà delle regole, perché il limite e l’elaborazione del limite è essenziale, almeno quanto lo è per lo sviluppo infantile la presenza di una madre e di un padre “sufficientemente buoni” (…)

(…) Tuttavia la psicoterapia richiede anche di dover ri-attraversare i propri traumi e i propri deserti (affettivi, relazionali, comunicativi ect), perché non si tratta solo del conoscere “K” (W. Bion), ma anche delle vicende del proprio amore e del proprio odio.

Come fare? Con una metafora di Teatro Danza Analitico, la proposta è di seguire la vita come un vero deserto, attraversarlo per arrivare all’oasi. Nel metodo c’è la terapia psicoanalitica individuale e di gruppo perché il deserto è duro da attraversare e da oasi a oasi, ogni settimana, ogni mese, è il senso terapeutico.

Oltre a questo, poi quale ulteriore necessità soddisfa la metodologia del Teatro Danza Analitico?

L’esperienza clinica insegna che non sempre i pazienti riescono a entrare o coinvolgersi in una relazione, neanche in quella terapeutica. Così è utile aprire la porta alla Psicoterapia, perché fare analisi significa entrare in un setting con un preciso protocollo.

Per chiarire tale concetto ci si avvale di una metafora esistenziale, giacchè… resta sempre il problema di quella “difficoltà descrittiva” di cui parlava H.C. Rumke.

 

1.11 Terapia individuale

Con una metafora esistenziale si può dire, brevemente, che il setting individuale rappresenta un utero dove il paziente può rivivere e ristabilire il rapporto duale, primariamente quello della relazione oggettuale con la madre. Sostenuto dall’analista, egli può ripercorrerne stadi e processi fino a conseguire una strutturazione dell’Io sufficiente o più adeguata; parallelamente consegue una differenziazione delle istanze psichiche ovvero un rapporto tra queste più armonico, meno rigido o difensivo. Si allevia la sofferenza interiore che da tutto ciò ne derivava. C’è il recupero della dimensione psicologica vitale essenziale alla crescita e c’è il recupero del rapporto con se stessi e con la propria interiorità.

 

1.12 Terapia di gruppo

La stessa metafora vuole che, una volta nato, il bambino abbia una famiglia per continuare il proprio progetto di vita e proseguire l’evoluzione e la crescita umana affrontando il passaggio dal Pathos (dimensione materna) al Logos (dimensione paterna e culturale-sociale).

L’elaborazione della diversità e dell’appartenenza è indispensabile sia alla crescita sia al cambiamento, inoltre possono esserci molte esperienze o vissuti che segnano lo sviluppo in questa dimensione, da rivivere, rielaborare e possibilmente superare.

La terapia di gruppo rappresenta l’ingresso del bambino in una famiglia. Appartenere a una famiglia significa protezione, sostegno, cure ecc; ma significa anche l’incontro e l’esposizione con culture diverse, con volontà, psichismi, affettività, reattività, attitudini, doti e inclinazioni, storie, idee, che sono tutti diversi e tutti in rapporto tra loro: quelli dei genitori e dei fratelli (minori e maggiori), dei nonni, degli zii e dei cugini ecc.  (…).

A questo livello si osservano le scissioni psicopatologiche tra la mente e il corpo laddove sono mancate possibilità e capacità del corpo e della mente di espandersi unitariamente e armoniosamente nella complessità, nella diversità e nella gioia. Sono scissioni che il gruppo evidenzia e ripercorre, assieme a tutti gli schemi coattivi, le difese, le corazze e i dolori che le stesse hanno causato.

Chi entra nel gruppo, o ci arriva, affronta una sofferenza: quella del muro tra corpo e psiche e nel gruppo nasconde la speranza di recuperare un giorno il proprio corpo totalmente.

L’esperienza insegna che spesso i borderline e gli anoressici lo abbandonano (il gruppo), giacchè sono coloro che ricercano il proprio “darsi un corpo”. Per capire se l’altro vuole (o non vuole) curarsi davvero, mettilo nel gruppo. Spesso e volentieri scattano dinamiche distruttive, in fondo provocate dalle scissioni mente/corpo proiettate sul gruppo.

Però il gruppo è l’alta espressione di una Madre che cresce con i figli, vivendone prima la buona simbiosi, per poi portarli verso il Padre a vivere la parte edipica. 

 

1.13 Teatro Danza Analitico

Fin qui ci si è riferiti a due dimensioni di un essere umano:

- L’energia materiale (il corpo)

- L’ energia immateriale (la volontà e il pensiero)

la terapia individuale e di gruppo sono per il recupero dell’una, dell’altra e del loro intimo rapporto armonico, perché entrambe sono necessarie e indissolubilmente connesse (unità somatopsichica).

Tuttavia il pensiero non crea la volontà, neanche se agisce da solo. Ci vuole la terza energia, quella dello spirito* (*nota 1) che non è data bella e fatta dalla natura, ma va conquistata come capacità e trasformazione creativa.

Si tratta della capacità di condensare, quasi come un alchimista, assimilazioni e trasmutazioni come per trasformare piombo in oro. Fusioni di energie intorno a me, dentro di me, nel mare profondo della vita; capacità di dare nuove forme, nuove potenze che sono mie e di nessun altro giacchè la persona è unica e irripetibile.

L’energia creativa è come l’energia dell’arte. Nessuno sa da dove viene questa energia, ma con essa si creano opere visibili e fruibili. Per sviluppare la terza dimensione, il Teatro danza analitico insegna l’arte del coinvolgimento emozionale per trasformare il dolore dal campo dell’arte proprio dell’artista, al campo del vivere quotidiano. Farlo è possibile con l’aiuto del gruppo: ci vuole una forza amorosa corale per toccare il nocciolo del frutto, cioè della profondità della vita.

Nel Teatro danza analitico, alla prassi terapeutica dell’interpretazione dello psichico (i setting individuale o di gruppo) si affianca una “chiave di lettura” dei “vissuti”, dei “sogni” scaturiti della visione di un film proposto, di una performance teatrale, di una danza ecc. I temi sono sempre attinenti alla pratica psicoterapeutica, ma per creare un’ “arena” di natura transizionale che evolve gradualmente in un “campo emozionale”.

Nel momento doloroso di un vissuto passato o presente si può far uso del Flamenco nelle varie espressioni artistiche, ad esempio per contenere il dolore per un lutto, per sostituire il lamento sado-masochistico in un’azione piacevole artistica, combinando una musica adatta alla situazione con l’espressione del corpo che trasforma l’energia negativa in una piacevole. Nel conflitto di coppia il tango può esprimere un recupero del Maschile e del Femminile ordinati e non più fallici. Lo psicoterapeuta coadiuvato da counselors, aiuta a far muovere con arte, con tecnica tanguera e flamenca le persone che si sono esposte all’espressione del vissuto presente facendo leva sui ricordi del passato. Tale tecnica serve perché in fretta si possa pervenire al desiderio di un Progetto.

Il terapeuta in modo intelligente e saggio usa le tecniche trasformative artistiche conosciute per trasformare le patologie psichiche in speranze di vita. Egli è consapevole del progetto dell’individuo malato che diventa Persona e anzi si trasforma da brutto anatroccolo in cigno: impara a prendersi cura di sé. (…)

Per tornare al piano clinico e al substrato scientifico culturale del Teatro Danza Analitico, una evoluzione della terapia psicoanalitica mediante integrazione con tecniche di tipo comportamentale è stata auspicata da Paul L. Wachtel (1997) che ha evidenziato una lacuna della terapia psicoanalitica: la scarsa possibilità data al paziente di esercitare e mettere in campo praticamente le acquisizioni maturate, le consapevolezze e le abilità apprese in terapia (fattori di azione Lambert e Bergin 1994).

Nel condividere questo assunto, il Teatro Danza Analitico ritiene di mettere in campo i fattori di azione (dunque l’agire) privilegiando con opportuni accorgimenti la dimensione creativa e avvalendosi dei linguaggi dell’arte.

E’ offerto un ulteriore campo di esperienza/conoscenza per dare la possibilità di una migliore integrazione esplorazione/azione/sperimentazione dell’umano in sé/negli altri, per facilitare la cura e quindi l’abbandono delle fissazioni al pozzo secco e, dunque, favorire l’integrazione mente-corpo e integrazione dell’odio. (…)

Certamente occorre ascolto, osservazione, preparazione per comprendere obiettivamente, ma poi ciò che si è compreso in una “lingua straniera” non può essere tradotto deterministicamente, come fanno i traduttori automatici nel web con risultati non sempre apprezzabili. Diventa indispensabile una sensibilità artistica e tanta saggezza per rendere fruibile ciò che si è compreso, consentendo al paziente o a coloro che soffrono senza neppure saperlo e senza neppure curarsi “di trarre e poter fare qualcosa di creativo” del proprio dolore.

In psicoterapia, l’abreazione è necessaria ma non sufficiente a dare un “senso” al dolore patito. Al di là delle prospettive che i pazienti, su questo, trovano da sè per altre vie, è doveroso che la psicoterapia li aiuti a elaborare, anche, la propria ineludibile ricerca di senso da dare al dolore, solo così possiamo, forse, realizzare una autentica “trasformazione della tragedia”, come spesso ci capita di assistere “in corso d’opera”.

Il terapeuta aiuterà il paziente a elaborare in modi suoi originali e creativi ogni ricerca di sé stesso (motto Socratico), di verità e di senso, nella consapevolezza che oltre la verità oggettiva e scientifica esistono anche verità esistenziali e poetiche attraverso le quali apprendere l’arte di comunicare, dialogare e creare con le molteplici eco che da più parti, e da sempre, l’intera civiltà umana rimanda ad ognuno.

Per concludere, il sito istituzionale del Ministero della Salute riferisce che: “Recentemente, l’ OMS ha effettuato uno studio per valutare la diffusione delle malattie nel mondo ed i relativi costi socio-economici. Lo studio ha evidenziato che i disturbi relativi alle malattie mentali rivestono un’importanza crescente in tutti i Paesi industrializzati sia per il numero dei soggetti colpiti, sia per l’elevato carico di disabilità e di costi economici e sociali che comportano per le persone colpite e per i loro familiari. Sono, infatti, circa 450 milioni le persone che in tutto il mondo soffrono di disturbi neurologici, mentali e comportamentali. In Europa, la mortalità per suicidio è più elevata di quella per incidenti stradali, e il solo disturbo depressivo maggiore rende conto del 6% del carico di sofferenza e disabilità legati alle malattie. L’impatto economico della morbilità psichiatrica è molto elevato, con stime conservative pari al 3-4% del PEL dell’Unione Europea. In Italia, studi recenti condotti sia a livello nazionale che locale, hanno mostrato che la prevalenza annuale dei disturbi mentali nella popolazione generale è dell’8% circa ed un recente sondaggio, condotto su un campione di psichiatri italiani, ha riscontrato un aumento rispetto a dieci anni fa della frequenza con cui vari disturbi mentali giungono all’osservazione clinica. Anche in Italia, come in altri Paesi industrializzali, i disturbi mentali costituiscono una delle maggiori fonti di carico assistenziale e di costi per il Servizio Sanitario Nazionale; si presentano in tutte le classi d’età, sono associati a difficoltà nelle attività quotidiane, nel lavoro, nei rapporti interpersonali e familiari e alimentano spesso forme di indifferenza, di emarginazione e di esclusione sociale.

Un simile panorama impone di disporre di strumenti di sorveglianza e di monitoraggio dell’entità del fenomeno e di diffusione di interventi terapeutici e preventivi, basati su evidenze scientifiche, atti a promuovere la salute mentale.

Anche a livello della Commissione dell’Unione Europea, è stata di recente sottolineata l’importanza delle informazioni rese disponibili da una attività di sorveglianza dei disturbi mentali nella popolazione”.

Nonostante il cammino lungo più di un secolo della psicoanalisi e della psicoterapia orientata in senso scientifico, questo panorama rende legittimo e doveroso cercare nuove strade e strategie per un migliore accostamento al disagio psichico ed esistenziale.

Infine, concludo, riportando la mia esperienza nelle scuole, negli ospedali, nelle comunità e negli incontri/conferenze/congressi/convegni e seminari aperti al pubblico che mi hanno indotto a riflettere, con l’avanzare dell’età anagrafica e professionale, sulla necessità di tener presente che l’insieme di “atti” e/o “metodi” sono utili se riportano alla creatività.

Creatività intesa come saggezza nell’incontro con l’altro/altri, per cambiare un abito mentale in un “abito mentale rinnovato” ad uso e consumo del qui e ora, al servizio di così tanta energia umana.

Ricordo spesso a me stessa che il tritolo può essere usato in termini creativi (per fare tunnel) o in termini distruttivi (vedi attentati), perciò è necessario, secondo me, saper essere degli esperti che sanno come usare tale risorsa.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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